Le maree sono capricci degli dei, dadi gettati sul
mare di un destino strano, onde di riccioli e seta,
sfiorate come i capelli di veneri sotterranee.
Guidate dalla luna, capricciosa e austera, pallida come
strato di cipria, delicata come pergamena risuonante, seguono
i moti dell’animo tra secche di vento e mareggiate
improvvise. Sono follie, folle di oceani e versi
sciolti, baci che si susseguono, si inseguono
qualche chilometro secondo più in là dalla sottile
superficie dell’acqua avvolgente. Nessun alito di vento
distoglie lo sguardo di chi sogna. Solo sussurri, solo echi
che le maree portano nel loro mantello gravido di
desideri, di favole, incanti di porpora. L’ora bruna è
preziosa, si veste di luccicanti canti, di nenie che
partono da lontano, che raggiungeranno il tempo che
sarà. L’afa annienta, soffoca. L’intervallo tra i
respiri è più breve. Affanno gravitazionale. Grandi
velocità sfuggono le leggi della dinamica, saltano
staccionate, con il coraggio degli innocenti. Il non
detto urla negli angoli di un silenzio accorato e
assorto, rapito nelle latitudini di un sud assolato.
Asfalto e roccia, segni come tatuaggi roventi,
marchinella carne, bisturi che annienta. Quanti occhi
hanno visto e non osservato, profumi e incensi sfuggiti al
tatto. La melodia passa, abbracciata ad un pianoforte,
cullata da un sax di marzapane in questa estate di
effluvi stranieri, di alterità e echi di gente.
Lenzuola che si stropicciano gli occhi, mai vigili,
sempre nel dormiveglia incomprensibile e
paradisiaco.
Mente assopita che si libera nell’aria della sera,
in quell’istante che separa dal buio, da quel buio
sconfinato che ogni notte ospita la bellezza eterna
delle stelle.
Gilda Camero