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Totò – Tocchi e ritocchi

In Cinema, Letture on febbraio 18, 2010 at 4:00 PM

Maschera, mito, signore della risata, Principe di Bisanzio, marionetta, simbolo per eccellenza del cuore di Napoli. Totò, Antonio De Curtis, è tutto questo ma anche molto, molto altro. Perchè i suoi personaggi, la sua vita, reale e sul palcoscenico (difficile definire il limite, il confine tra le due), le sue battute diventate assiomi, rappresentano una filosofia ben precisa dell’esistenza. Ad un uomo straordinario, che ha saputo far sgorgare il sorriso anche da situazioni tragiche e paradossali, iconografia di un’intera città e non solo, è dedicato il bel libro (un vero saggio) pubblicato dalla casa editrice leccese Il Raggio Verde in cui si ricostruisce come in puzzle la personalità dell’attore attraverso differenti punti di vista e angolazioni. Si parte dall’analisi di Peppino Ortoleva (docente di storia dei mezzi di comunicazione all’Università di Torino) in cui Totò viene messo a confronto con Chaplin: il primo legato al sonoro e soprattutto sintesi della tradizione, della cultrura napoletana, capace di raffigurare (vedi Totò Diabolicus) tutti i ruoli sociali, al contrario del secondo, artista globale prima della globalizzazione, espressione del muto e assolutamente outsider perchè fuori dalla società, fuori dagli schemi, capace di una critica feroce a quelle stesse regole e ad un sistema (si pensi a Tempi moderni) massificante e alienante. Estremamente legata invece allo spirito plautino l’opera del Principe, così come viene ribadito da Ferruccio Bertini (docente di Letteratura latina all’Università di Genova) e i riferimenti sono ad Uccellacci Uccellini o ancora ad altre pellicole in cui si ritrova il tema dei simillimi (Bacchides, Amphitruo), i gemelli che in Totò terzo uomo sono addirittura tre  o ancora Totò cerca casa che ricorda nella trama la Mostellaria dell’autore latino.

In generale ritroviamo gli stessi discorsi retorici, i doppi sensi, la trasformazione delle parole, i riferimenti alla politica e una comicità motoria, affidata all’espressione corporea. Il capitolo di Dino Cofrancesco (docente di Storia del pensiero politico all’Università di Genova) si muove sul concetto di sublimazione poetica del qualunquismo (vedi la lettera dei fratelli Caponi): contrariamente a quanto ha sostenuto la critica dell’epoca Totò era l’espressione della commedia dell’arte (bisognava concedergli carta bianca) e la sua grandezza è testimoniata dal fatto che ha lavorato con grandi registi da Zampa a De Sica e con interpreti di levatura internazionale (è stato accanto alla Magnani in Risate di gioia un film splendido di Monicelli, apprezzato da un critico come Morando Mo­­ran­di­ni). Michela Nacci (docente di Storia del pensiero politico all’Università de ll’Aquila) si è soffermata su Totò come espressione delle due anime dell’Italia, di due mondi, il Nord e il Sud (il primo è un territorio molto esteso ‘ho fatto il militare a Cuneo’, il secondo si identifica solo con Napoli). Nel contatto con lo straniero invece questa differenza scom­pare e To­tò diventa l’italiano furbo, men­­tre le classi sociali si riducono a due ovvero ‘Miseria e Nobiltà’. Ad indagare il rapporto con le donne, amatissime, ci ha pensato Marisa Forcina (docente di Storia del pensiero politico nell’Università del Salento): tra gli aneddoti quello su Malafemmina che ufficialmente l’attore scrisse per la moglie che voleva lasciarlo ma secondo altre versioni, dedicata a Silvana Pam­panini che lo avrebbe rifiutato. Nessuna misoginia per la Forcina, anzi i film sono antesignani degli studi di genere che appassioneranno le femministe.

Non poteva mancare uno sguardo puramente filosofico e, in questo caso, l’analisi è di Giovanni Invitto (docente di Filosofia teoretica all’Università del Salento), curatore della collana, in cui Totò appare come personificazione della critica all’esistenzialismo (vedi l’ironia sul movimento in Fifa e arena o in Totò all’inferno in cui è ancora più esplicita) o il concetto della morte nella famosa poesia ‘A livella che rende tutti uguali. Ma Totò è soprattutto una città. Il suo cuore, la sua anima, la sua cultura, sono quelli di Napoli così come ci ricorda Antonietta Fulvio (che ha creato con Giusy Petracca la casa editrice Il Raggio Verde e che realizza con questo libro un suo piccolo grande sogno) descrivendo, poeticamente e da napoletana verace (chi avrebe potuto farlo meglio?)  il rapporo tra l’attore e il luogo in cui è nato e ha vissuto. In questo capitolo viene ricostruita la vita dell’attore partendo dalla sua morte, il 15 aprile del ‘67, da quell’uscita ‘spettacolare’ dalla vita che segnava l’ingresso nel mito.

Totò continua ad essere parte di una terra dalle mille contraddizioni che non l’ha dimenticato (come potrebbe?): immagine del visibile e del non visibile (la Napoli sotterranea dei decumani), della pietas per le anime pezzentelle ‘quelle che non visita nessuno’, dei vicoli del Rione Sanità, di quel rapporto costante con la morte che esiste ‘come la pioggia e bisogna accettarla’, della capacità di affrontare con ironia le grandi tragedie e della teatralità che si respira continuamente, ogni giorno e ovunque. Poesie, canzoni, detti, per un uomo che non diventò mai napolide, ma realizzò la favola a di Cenerentola, al maschile in cui il bimbo povero riconosciuto solo dalla madre, diventa Principe di Bisanzio. Totò è Napoli luogo in cui tutto rinasce e ricomincia (così come canta Ivano Fossati), dove ‘una lacrima è solo l’altra faccia del sorriso’.

Ultimo tassello del puzzle quello sul rapporto tra Totò e i giovani d’oggi di Liliana De Maria (studentessa di Psicologia) in cui questa figura è ancora oggi un simbolo per contrastare ingiustizie e diseguaglianze. Libro nel libro, i meravigliosi disegni di Giancarlo Montelli (a Lecce sono stati esposti gli originali al Museo Provinciale Castromediano) in cui vengono riproposti i personaggi con i loro tratti caratteristici.

Leggendo il libro, guardando i ritratti sembra che Totò non sia mai andato via e che un giorno o l’altro magari lo vedremo nuovamente apparire e con una smorfia ci farà ancora sorridere. Dove? Beh, a Napoli naturalmente…

Gilda Camero